Viaggio sonoro nell’invisibile | Stagione 2024. XIII edizione

Fotografia d’autore

“Il vedere viene prima delle parole. Il bambino guarda e riconosce prima di essere in grado di parlare.”
Un elogio di John Berger alle immagini, suo oggetto di indagine per la vita.
La fotografia come tutte le arti illumina zone oscure e ci offre una lente di lettura della realtà. Spesso le arti entrano in dialogo per vincere la sfida impossibile di capire il mondo, le sue leggi segrete, la sua forza e la sua bellezza. Per Palazzo Marino in Musica abbiamo deciso di scrivere noi le parole di quell’immaginario tra musica e fotografia. Un’arte antica e una moderna insieme, con cui giocheremo d’azzardo affiancando gli scatti di grandi fotografi contemporanei alle composizioni in programma. Diverse poetiche a confronto, così ogni appuntamento avrà una sua immagine evocativa di riferimento trasformandosi di fatto in opere fotografiche d’autore a tiratura limitata.
Maria Sabina Berra

Scudi Cosmici, fotografie di Natale Zoppis

 

Domenica 5 maggio | Symphonialis est anima |Resonare Vocal Ensemble

Shrouded Sculpture #2 (Eve listening to the voice
by Edward Hodges Bailey), 2021. ©Simon Roberts

Una statua classica del Victoria and Albert Museum di Londra avvolta in un grande cellophane nello scatto di Simon Roberts può attraversare i secoli e far ricordare per astrazione la figura della monaca mistica Hildegard von Bingen e il suo genio “imprigionato” perché era una donna. Una figura femminile nascosta dalle pieghe della plastica protetta nella bellezza e nell’eleganza del pensiero e della creazione come è stata lei nel Medioevo: medico, musicista, compositrice, cosmologa, teologa, santa.
L’accostamento tra questa figura epica e il lavoro fotografico Beneath the Pilgrim Moon del fotografo inglese non è puro azzardo.
Cosa li unisce?
La precisione cristallina usata per indagare la corposa profondità degli abissi del suono di Hildegard e la nitidezza dell’immagine fuori dal tempo, ma così viva per le infinite sfumature e i bagliori di luce improvvisi che la illuminano.
Ma quale è lo sguardo che si cela dietro lo scatto?
Simon Roberts è un amante appassionato dell’infinita variazione della luce e delle forme.
Questa immagine è una sfida nel gestire la luce in relazione al continuo sovrapporsi di volumi, una esplosione di forme tridimensionali con le rugosità e la superficie di nuovo liscia. Un artista della visione, che usa un richiamo a quel che non si vede.
Beneath the Pilgrim Moon è una raccolta di fotografie scattate durante il secondo blocco del Covid-19, mentre il Victoria and Albert Museum era chiuso al pubblico.
Queste statue velate, nelle Dorothy e Michael Hintze Galleries del museo di Londra sono state coperte per la loro protezione durante la ristrutturazione e Roberts le concepisce come una metafora della nostra più ampia esperienza della pandemia.
Ma eleganti e malinconiche, le statue sembrano assorbite in una contemplazione senza tempo, intrappolate nel loro universo minerale e quindi sono amiche dello stato d’animo di Hildegard von Bingen.

 

Domenica 9 giugno | Il bosco incantato | Allievi del Conservatorio G. Verdi di Milano

Milano Design Week, Freitag. Parte delle serie
L. A.Y.L. A. (Looking at you looking at…), 2019.
© Matteo Cirenei

Immaginare i suoni è un esercizio meraviglioso, una sorta di viaggio nell’invisibile che ci conduce in universi mai pensati e ogni volta diversi. Accensioni emotive, spegnimenti della ragione.
A volte zampilli del cuore. Una pratica svolta non ad occhi chiusi però, in cui mi sono cimentata anche nello scegliere una fotografia per ogni concerto. Che vuole essere solo una traccia e, per chi ama fare questo gioco, un punto di partenza. Ecco allora che l’intreccio dei fili colorati che invadono lo scatto di Matteo Cirenei, fotografo di architetture, provano a interpretare le linee melodiche che sono alla base dei Lieder. D’altra parte, sono anche un bosco fitto come quelli evocati dai testi di queste composizioni:
c’è anche una figura sullo sfondo, una donna, a cercare una strada e una traccia per incamminarsi. Giusta interprete del sentimento di struggimento e nostalgia che pervade queste musiche.
Chi è lei?
“Inizialmente la gente mi infastidiva, la vedevo come un ostacolo alla realizzazione della mia fotografia. Col tempo ho imparato a osservare le persone, a domandarmi che cosa stesse catturando la loro attenzione. Ogni persona ha una propria visione, e il desiderio di portarsi via un pezzo del mondo. Ho così cominciato ad apprezzare la gente che entrava inconsapevolmente nelle mie fotografie, lasciando una traccia della loro vita…”, chiosa Matteo Cirenei.

 

 

 

 

Domenica 7 luglio | Canti spirituali dal mondo | Coro Cantosospeso 

Sombreros de Palma, Ecuador (1946), ©Leo Matiz.
Si ringrazia la Fundación Leo Matiz e Alejandra Matiz.

Uno dei più importanti fotografi del Novecento, che ha viaggiato nel mondo e attraversato mondi. Un raffi nato reporter che ha catturato nelle sue immagini grandi personaggi come Frida Kahlo e cantato “l’elegia dei popoli”. Leo Matiz raggiunge la stessa forza espressiva sui volti dei tessitori colombiani, dei lavoratori che preparano i capelli di palma in Ecuador, dei portatori d’acqua dello Yucatán, dei contadini di Boyacá e degli indios dell’Amazzonia e sulle dive del cinema. Con gli incantesimi del suo bianco e nero. “Il bianco e nero ha molte sfumature”, dichiarava: come contraddirlo? Ha saputo catturare l’essenza dei luoghi e di chi li fa vivere davvero. Così come fa la musica che distilla la storia di un Paese attraverso le infinite composizioni di suoni che ne raccolgono memorie, abitudini e credenze.
Leo Matiz nacque nel 1917 in Colombia, ad Aracataca – lo stesso luogo che dieci anni dopo avrebbe visto nascere Gabriel García Márquez. Le fotografi e di Matiz costituiscono testimonianza di alcuni degli eventi più significanti della nostra storia; ma egli fu anche caricaturista e gallerista; apportò grande contributo alla pubblicità, al cinema e al mercato dell’arte; fu fondatore della prima galleria d’arte di Bogotà, nella quale tra l’altro furono esposte, per la prima volta, le opere di Fernando Botero.

 

   Domenica 1 Settembre | Echi di vita | Emma-Lisa Roux e Dario Merlini

Giovanni Ozzola, Añaza (2021)
Foto dell’installazione di Ela Bialkowska, OKNO studio
Courtesy Galleria Continua

Resistere nel tempo e attraversarlo è l’incantesimo delle arti. Grazie a questo possiamo immaginare che una musica sfidi i limiti dei secoli e si riappropri dei luoghi del nostro presente, innescando un dialogo con l’infinito. Tra gli spazi vissuti, le corti sono sempre state un punto di riferimento per la cultura e per gli artisti. Così ho voluto provare a immaginare una corte contemporanea dove quei suoni potrebbero farci reimmergere in una memoria antica che ritorna.
Si tratta della stanza ricreata nell’installazione Añaza (2021) di Giovanni Ozzola, un artista fiorentino che lavora con diversi mezzi espressivi: dalla fotografia al video, ma anche con l’incisione
sull’ardesia e la fusione con la scultura. In questa opera ha adoperato una tecnica di stampa fotografica su cemento per ridefinire uno spazio, creando un nuovo orizzonte, e per concettualizzare e rappresentare l’infinito e l’esplorazione, in senso tanto geografico quanto introspettivo. Racconta così Giovanni Ozzola: “Le aperture che squarciano i muri sono cicatrici urbane, luoghi dalla simbologia così forte da farsi archetipo, per offrirci un’apertura verso altri mondi. Si completano a vicenda: a noi che guardiamo danno un senso di simmetria, perché in quelle mura possiamo proteggerci, e in quella luce possiamo invece navigare e perderci.”
Nato a Firenze nel 1982, Giovanni Ozzola attualmente vive e lavora alle Isole Canarie, in Spagna. Ha esposto il suo lavoro a livello internazionale presso numerose istituzioni pubbliche e private. La sua biografia è disponibile sul sito galleriacontinua.com

 

 

   Domenica 6 Ottobre | Il Trio degli spettri | Trio Kaufman

Fulvio Orsenigo, Venise Verticale (2021)

Venezia deserta e immobile, durante la pandemia di Covid, apparentemente irreale è invece vera nel progetto fotografico Venise Verticale di Fulvio Orsenigo: una vertigine visiva ammantata da una scontrosa grazia. Uno spettacolo avvolto in quello “che tra tutti i colori è il più indelebile, il vuoto” (Vittorio Sereni).

Non un reportage, ma il risultato di un’ abitudine del pensiero: “Per me prima ancora che uno spazio fisico Venezia è uno spazio mentale”.

E così la città lagunare ci avvolge nella malia dell’inaspettato, l’incantesimo tra i più graditi. Contrasti di luce nello spazio delle architetture, che generano stupore: la capacità di meravigliarsi di fronte alle cose e non dare niente per scontato, il primo passo per capire.
“Ho fotografato tra l’una e le quattro del mattino, quando l’immobilità dell’acqua si mostrava nella sua magica perfezione. Altre condizioni erano necessarie: notti di nero di luna, cielo terso e senza nuvole, assenza di vento e fermo di marea. Da quel fondale nero emergeva l’impensabile immagine di una concreta realtà di mattoni e di marmo fondata su un’immagine evanescente ed immateriale”.
Un paesaggio adatto a quello sonoro di Ludwig van Beethoven, un gioco di contrasti e assonanze, come nel “Trio degli spettri” dove si aggiunge, in alcuni movimenti, un’atmosfera irreale.

 

   Domenica 10 Novembre | Il talento ritrovato |Emmanuel Coppey

© Giovanni Gastel. Still life
scattato per la rivista “Mondo Uomo” (Milano, 1986)

“Si può fare musica con quasi niente”… Quasi un manifesto per György Kurtág il compositore ungherese, considerato un maestro nel creare musica con pochissimo materiale sonoro. Si può fare “arte” con quasi niente… come ha fatto Giovanni Gastel con i suoi Still Life: assemblando pochi oggetti ha creato personaggi nuovi e mondi immaginari indicando un percorso creativo in cui lo scarto delle regole è la regola: “La fotografia di Still Life è per me l’espressione più pura dello stile di un fotografo. Come in duello antico si fronteggiano un oggetto e un fotografo senza aiuti esterni che non siano la fantasia e la ricerca parallela di un reale “altro” nascosto nell’oggetto. (…). Il mio modo di affrontare la foto di oggetti è nato dal tentativo di mischiare il linguaggio della POP Art (che teorizza che qualunque oggetto anche il più banale messo nella condizione di essere osservato come opera d’arte lo diviene) e il linguaggio del fumetto che riesce a rendere dinamica la staticità. E poi gioco, divertimento ed allegria. Tutte le cose nascondono altre storie oltre a quella più banale ed evidente. Il nostro mestiere è vederle pur lasciando l’oggetto centrale e protagonista della composizione.” Ecco perché ho scelto questa foto per l’ultima puntata del nostro gioco d’azzardo degli abbinamenti tra foto e musica. Ma anche per il suo soggetto, dove alcuni maglioni “disegnano” un personaggio misterioso, senza volto ma pieno di colore. Per gioco, ancora una volta, impersona le figure segrete del concorso della Società dei Concerti: il giurato fantasma e la sorpresa del finalista alla Scala.

 

© Giovanni Gastel. Still life scattato per la rivista Mondo Uomo (Milano 1986).